Nel
brusio della gente che prende posto nel teatro, i maestri d’orchestra provano lo
strumento prima del concerto.
Contrabbassi
e violoncelli cercano l’incontro con le
vibrazioni calde di viole e violini con sussulti di ondate sonore. Il suono
mistico dell’oboe sale come supplica disattesa, una scala discendente di
clarinetto, come passi felpati di gatto, si appoggia sulla trama disordinata
degli archi. Il basso tuba apre uno squarcio improvviso, uno squillo della
tromba evoca battaglie imminenti. Poi il vibrato del flauto emerge, aleggia un attimo come
trillo evocativo sopra le fronde di una foresta cupa per sprofondare ancora
nell’intreccio labirintico dei rami.
Nella
aria si è addensata una nuvola carica di elettricità statica in attesa della
scintilla. Il primo violino si alza, chiede all’oboe il “la” della certezza. Appoggiato
il violino alla guancia muove sinuoso l’archetto sulle corde. Dal caos
primitivo, il suono di ogni strumento si ricompone gradualmente in un’unica
nota, che si staglia potente e limpida, dalle
profondità di un abisso insondabile alla sommità del un monte di cui si scorge la vetta limpida.
In
quel momento penso alla Genesi: ” la terra era desolata e deserta, le tenebre
ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio si
librava sulla superficie delle acque”
Quando l’orchestra diretta
dalle mani abili del maestro prende vita è come l’inizio di una nuova Genesi. Un viaggio attraverso l’umanità, che ripercorre
le sofferenze, le sconfitte, gli aneliti, la grandezza divina, la miseria tremenda
dell’uomo. La musica a volte ne è il riscatto sublime.