martedì 25 dicembre 2018

Storia curiosa di un Huawei P8


           Il 3 gennaio 2018 sulla cresta ovest del Rujoch c’era vento, a tratti forte, che sollevava pennacchi di nevischio. Il cielo però era sereno, con nuvole che si gonfiavano al lembo dell’estremo orizzonte nord prima di sfilacciarsi preda del vento in quota.

           A volte è difficile rinunciare. Il tempo di arrivare sulla cima, quando da nord si è addensata improvvisa una bufera di neve. Era prevista dal meteo, ma solo nel tardo pomeriggio e pensavo di evitarla. Nemmeno il tempo di mangiare qualcosa. Mi sono vestito di ogni indumento, ho messo in tasca tre datteri e mi sono buttato lungo la cresta ovest. Un po’ intimorito dalla forza del vento e dai turbini di neve, ma conoscevo bene la discesa. Solo molto concentrato, attento più che altro a non commettere errori o scivolare sul ghiaccio. 
           Arrivato al passo Pòlpen, scollinando verso la val dei Mòcheni mi sono rassicurato. La violenza del vento s’era attenuata, la neve cadeva soffice e fitta. Era il momento di chiamare Carmen e rassicurarla, anche se lei non poteva sapere di quei momenti di tensione. Ho messo la mano in tasca, ma il cellulare non c’era più. Sfuggito tra un dattero e l’altro. Tornare indietro a cercarlo nemmeno da considerare. 
          Ancora un ora di cammino, qualcosa in più, per giungere al passo Redebus e alla macchina. Ormai nel bosco sotto una fiabesca nevicata, rilassato tranquillo con l’unico disappunto di aver perso il telefono. Ma quello era il tributo minimo da pagare agli Spiriti del Rujoch per avermi lasciato aperta la porta d’uscita. Tornato a casa e provando per curiosità a contattare il numero, il freddo lassù l’aveva già ammutolito.
         Il 7 maggio 2018 i carabinieri di Lavis si sono messi in contatto con Carmen, probabilmente uno degli ultimi numeri che avevo utilizzato quel 3 gennaio o il giorno prima. Qualcuno aveva ritrovato il mio Huawei P8. 
            Era rimasto qualche mese al freddo intenso, sepolto sotto la neve e poi infradiciato dall’acqua di fusione. Eppure funzionava come fosse stato dimenticato in un cassetto della cucina. Stupefatto e stupito anche per chi si è preso la briga di consegnarlo ai Carabinieri. Non so chi sia, non ha lasciato il suo nome, ma lo voglio ringraziare con questa piccola storia.


Verso passo Polpen:le nuvole nel vento di quota 

Verso nord si addensa

I pennacchi di neve sulle creste

 La cima si avvicina



La bufera in arrivo



Fitta nevicata al ritorno nel bosco

mercoledì 19 dicembre 2018

Monta Cola e Monte Hoabonti (Lagorai)

Una cresta al sole, panoramica,. La prima neve, a tratti profonda negli accumuli, che rende la salita più memorabile. Oggi con Aldo Lona compagno di tante salite.



Una bassa finestra sul Fravort





L'anticima del monte Cola


Il pendio finale per la cima del monte Cola



Dalla cima del Cola verso la bassa Valsugana



Si mostra l'Hoabonti con la invitante cresta che conduce alla cima




I

In Cima







Ritorno... e poi giù nell'anfiteatro tra Cola e Hoabonti caracollando nella neve fresca

giovedì 6 dicembre 2018

Una storiella quasi seria




            
          E così si sposarono, i nomi li taccio, un sabato di ormai tanti anni fa, benedetti dal frate. Un frate prestato dal Convento che giungeva in paese solo per la messa della domenica e le ricorrenze speciali. 
            II paese, un piccolo paese della bassa val di Cembra, che trascorreva la vita con lo stesso ritmo lento ispirato dal suo nome. Nei capannelli nel dopo cena nella piazzetta si metteva in dubbio anche lo sbarco degli americani sulla Luna: “Veh! che i ne conta bàle.” 

           Passò qualche settimana e la novella sposa dopo la messa domenicale, facendosi coraggio, si confidò con il frate: suo marito ancora non l’aveva… e cercava di spiegarsi con rossori di imbarazzo. “Beata vergine!Stai tranquilla. Gli parlo io” promise il frate. 
          Alla prima occasione prese l’uomo in disparte e, con la massima delicatezza possibile ma anche con la dovuta fermezza, gli dette le opportune istruzioni: con la propria moglie, nel matrimonio benedetto da Dio bisogna fare così e poi cosà. Anzi si deve! Altrimenti non si generano figli. Deus vult!

          Dopo qualche giorno nel capannello del dopo cena, con una nuova soddisfazione disegnata sulla faccia miope , come gallo impettito l’uomo si confidava con i paesani “ oscia! che bèl che l’è! Saverlo prima! L’è propi bèl!"

venerdì 23 novembre 2018

Monte Slimber (Lagorai)

17/11/2018   Alcune immagini di una breve escursione cui tenevo in particolare, in questa stagione strana e stranita. Oggi con Aldo compagno di tantissime salite in montagna.















martedì 20 novembre 2018

La preghiera di mia madre


     Da bambini andare a letto era uno dei momenti più sofferti. Abbandonare i giochi e il tepore del focolare per cadere nel buio di sogni paurosi. Ricordo bene la camera fredda nelle eterne notti d’inverno. Un lumino rischiarava la penombra, appena sufficiente ad arginare il buio che premeva contro i vetri con le sue paure. 
     
     Ogni sera la mamma mi faceva inginocchiare, con le mani appoggiate sul pagliericcio di foglie di granturco del mio lettino, posto a fianco al suo letto di sposa. Si faceva il segno della croce e mi suggeriva la preghiera che mi accompagnava nell'arcano della notte, là dove il sonno a volte somiglia alla morte:
“Vado nel letto a na bòna ora
me racomando a Dio e ala Madre sòa
Signoredio vi ringrazio d’avermi creato,
fato cristiano e conservato in questo giorno.
Vi prego di concedermi anche una buona notte.
A mi, me papà, me mama, me noni, me zii, fradei, sorèle,
amici, memici,  a tuti i boni cristiani de questo mondo.
Pace e riposo ale anime sante del purgatorio
Rechia meterna………”
      Mi metteva poi a letto sussurrandomi all'orecchio: " mentre chiudi gli occhi prega il tuo Angelo custode". Mentre anche lei si coricava, sotto le coperte la udivo mormorare con un moto di intima soddisfazione: “ Oddio che bel!”. Il letto era il premio agognato alla sua giornata di dura fatica. Con un sospiro la udivo mormorare tra se: "Gesù, Giuseppe, Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe, Maria proteggetemi nell'ultima mia agonia."
     Tuttora, nelle notti di sottile inquietudine, quella preghiera affiora spontanea alle labbra come un mantra cui mi aggrappo come ad un relitto in un mare tempestoso. Mi ritrovo a recitarlo in cerca del sonno con un inconscio moto dell’animo, che la ragione non sa spiegare.

lunedì 24 settembre 2018

Latemar: Paiòn

        15/09/2018 Cornòn, Schenòn, Cimòn, Forcellòn(e), Paiòn, Cavignòn. Nomi tronchi ed aspri dati ad alcune cime del Latemar dai Ladini di Fassa. Oggi abbiamo salito il Paiòn da forcella dei Camosci discendendo poi al Forcellon. La cima esile, da non distrarsi, con scorci di grande effetto.
        Percorrendo la cresta sottile si possono osservare i formidabili dirupi che si inabissano sulla val d’Ega. Il lago di Carezza infatti con le guglie del Latemar è stata un tempo forse la cartolina più nota delle intere Dolomiti. Alpinisti celebri quali Diamantidi, Christomannos, anche Piaz hanno arrampicato questi appicchi. Qualcuno ha poi raccomandato di non ripetere la sua via: roccia troppo marcia e pericolosa. 
Il Latemar mi ricorda la Rocca di Calascio, naturalmente con proporzioni ben più grandiose.

       
Appena oltre il passo di Pampeago sul versante Obereggen. Il cielo schiarisce. Promette bene.



Il Paiòn fa capolino dietro la cresta sulla sinistra


Abbandonato il sentiero che scende a Obereggen saliamo su tracce verso l'alto

 Fino a incrociare il sentiero n. 18 diretto a forcella dei Camosci

a destra fa capolino la triangolare parete ovest de Paiòn


A destra l'ampia sella della forcella dei Camosci con lo spigolo del Paiòn dove saliremo

dalla forcella dei Camosci saliamo alla cima del Paiòn




 ormai sulla cresta verso l'anticima con alle spalle Cima di Valsorda

Verso la cima Principale




 dalla cima del Paiòn la cresta continua poi sottile e più difficile verso il corno di Val d'Ega





Dalla cima discendiamo nell'Anfiteatro del Latemar. Tra le nuvole il Paiòn, a destra il Forcellone


passando per il Torre di Pisa scendiamo a Pampeago per chiudere l'anello.
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