lunedì 25 dicembre 2017

Mattino di Natale



Il crepitare del fuoco appena acceso, nella penombra della cucina. Il profumo di  tre mandarini e un pugno di noci ancora brune di mallo, un grappolo di uva appassita.
E poi le nuvole di fiato nella chiesa fredda e semibuia. Il vecchio organo e il coro intona l’Adeste fideles.
Mi giungeva qualche frase di mio padre, che accompagnava con la sua voce rugginosa di tabacco il canto del Natale.
         Anche quell'anno la neve si nascondeva nella cavità di un cielo limpido, la slitta ancora in soffitta tra il fieno.

giovedì 23 novembre 2017

Alla fine delle terre


Un sonno leggero, intermittente, un sogno tormentato mi perseguita impedendomi di calare nel gorgo del REM.  Cammino e cammino senza mai raggiungere la meta. Nuvole cariche di pioggia all’orizzonte mi vengono incontro.
Mi sono svegliato lentamente, frastornato, avvolto dal fumo greve del sogno. Non mi è bastato porre la mano sul profilo familiare della mia compagna. Mi sono alzato a tentoni, inconsapevole. Seduto sul divano, guardandomi in giro nella penombra di casa, sono emersi poco a poco dalla nebbia del sonno gli oggetti familiari, le cose più amate. Il pianoforte, la collezione dei CD, la stufa ancora tiepida. Ho dovuto rassicurarmi ad alta voce chiamandomi per nome. Andrea! sei ritornato a casa.
Tornato a letto ero felice di stare sveglio, ripensando all’esperienza vissuta, così prepotente da rubarmi il sonno per quella notte a le notti seguenti.


E' l'autunno nelle terre occidentali. L’alba indugia a lungo,  sospesa su un chiarore indolente.
Dopo aver preparato lo zaino, abbandono senza rimpianto la cuccetta che  mi ha avvolto in un bozzolo di  sogni inconclusi e sonni evanescenti.
         Impaziente di partire come ogni mattina, di camminare verso occidente. Una pallida luce fende l’ultimo sonno inquieto della notte, rischiara appena i passi ancora indecisi.
             Le mucche  nei prati pregni di umidità attendono torpide il sole. I cavalli di là dello steccato fremono col mantello lucente alla prima luce. Odore forte dei pascoli ancora verdi, nutriti dalle stalle,  in questa terra fieramente contadina di Galicia
             La nebbia disegna tante colline lontane da raggiungere e lasciarsi alle spalle prima di avvistare Santiago. Il sole si posa sulle cime degli alberi. Tra poco riscalderà la schiena con un brivido di calore.
           Una mandria di mucche incede come processione solenne sulla strada verso un nuovo pascolo. Occhi placidi, quasi ironici guardano noi, straniati vagabondi camminare nel ronzio dei loro pensieri.

Il ragazzo tedesco, mi ha superato nel mattino nebbioso con un saluto ed è sparito di là di un dosso.  Viene da molto lontano, da Irùn o da Bilbao. Cammina ormai da molto tempo, sempre da solo. Uno sguardo sfuggente, un sorriso un po’ triste. Gentile come può essere un ragazzo timido. Non ama molto lavarsi, o forse lava poco gli indumenti. E si sente.
L’ho rivisto più avanti in un bar dove  Diego ed io stavamo riposando con un panino e una birra. Mangiò qualcosa di stantio che aveva nello zaino e al banco si bevve una buona birra Estela de Galicia.
         Ora mi aspettava l’ultima salita alla sierra del Carreòn, prima della lunga discesa su Melìde. Stavo attraversando una dei territori più belli del Cammino. Il sentiero sfiorava un crinale con una curiosa formazione di rocce calcaree, allungandosi poi tra ginestre fiorite, erba verde, altri fiori che non sapevo chiamare per nome. Il sole caldo, il cielo azzurro dell’autunno faceva sognare un ritorno di primavera.
         In quel momento attraversando la sierra ero profondamente immerso nel paesaggio. Pensavo a casa, a Serena, a Maurizio, alle Dolomiti inondate di sole, al volo dei gracchi alpini nel cielo del tramonto. Nemmeno le pale eoliche sul crinale stonavano in tanta bellezza. Il loro potente soffio di vento, come un respiro di monti, mi faceva pensare a don Chisciotte, al quale mi paragonavo nell’inseguire i miei fantasmi. 
         Il ragazzo tedesco mi superò di nuovo con un cenno della mano. Camminava col suo lungo bastone di legno davanti a me. Ad un tratto lo vidi abbandonare all’improvviso la traccia, e chinarsi tra le ginestre, in preda a forti conati. Vomitò anche l’anima restando a lungo chino sull’erba. Quando si rialzò, si abbandonò esausto sul sentiero, con gli occhi persi nel cielo lontano. Forse pensava a sua madre che non era con lui in quel momento di dolorosa spossatezza. Diego il buon samaritano di noi due, gli fece prendere una pastiglia per lo stomaco, lo confortò. Attendemmo poi che si riprendesse. Fece alfine un timido cenno con la mano a mo’ di saluto, come un gesto di rassicurazione. 
             Il Cammino non poteva attendere. Non bisogna fare attendere il Cammino, mi diceva il vecchio Alberto. Volevo godere di quell’ultimo tratto solitario prima della discesa su Melìde, dove saremo confluiti nel più affollato Cammino francese.
         Giunsi infine a Melìde sotto il sole caldo degli eterni pomeriggi galiziani. Lo vidi poi da lontano, il ragazzo tedesco e il suo bastone. Pensai alla sua fibra, alla volontà caparbia di superare da solo le difficoltà e ne rimasi ammirato.
         Due giorni dopo lo rividi anche sulla piazza dell’Obradòiro davanti alla cattedrale di Santiago. Non mi abbracciò come tutti gli altri compagni coi quali avevo condiviso a tratti quel viaggio. Mi fece un lieve cenno con la mano. Lui aveva concluso il suo lungo cammino. Un abbozzo di sorriso, gentile come può essere solo il sorriso di un ragazzo timido. Addio ragazzo! che la vita ti sorrida!

Appare Finisterrae, curva sull'acqua in fondo alla lunga spiaggia di sabbia bianca. Un ultimo promontorio si protende poi come un dinosauro fin dentro l’Oceano. Là è la fine del mio cammino. Oggi l’Oceano sorprende con il blu turchese, appena increspato, nonostante il forte vento che soffia impetuoso da nord est. Il  vento che  ieri gravido dell’umidità della Galicia, oggi asciutto come le lontane Mesétas, ha accompagnato questi ultimi due giorni di cammino.
          Gli antichi pellegrini si immergevano nelle acque dell’oceano in un rito purificatore e poi raccoglievano una conchiglia quale prova del loro pellegrinaggio. Giunti alla fine del mondo, erano appena a metà del loro viaggio. Li attendeva ancora il lungo ritorno verso casa.
         Non nutro nel cuore lo spirito del pellegrino. Mi sento un viandante che annusa la terra da vicino. Ora però, mentre cammino scalzo sulla battigia, dove da ere immutabili si rivoltano le onde, provo le sensazioni del pellegrino: profondo appagamento,  pace interiore, nostalgia di casa. L’acqua dell’Oceano, tiepida nonostante l'ottobre inoltrato, risana i piedi. Come la bottiglia di vino bianco, bevuta insieme ai compagni di viaggio, ha riscaldato il cuore.
         Dopo aver visitato la tomba di Santiago, ora sono giunto fino alla tomba del sole. Qui il sole ogni sera va a morire nell'Oceano in un bagno di sangue o inghiottito dalla rabbia dei marosi. Quale rito conclusivo del mio cammino ho lanciato nelle acque i bastoni di nocciolo che hanno accompagnato i miei passi. 
Incombe l'immensità dell’Atlantico, che con la curva dell’orizzonte pare cingere la terra come un confine invalicabile. Cerco di rievocare il mistero dell’ignoto che suscitava un tempo la fine delle terre conosciute. Dove il cielo si fonde nella lieve foschia dell’orizzonte, immagino l’acqua dell’Oceano precipitare, ribollire in un abisso nero e riprendere poi l’eterno ciclo.
         Come un ulisse qualsiasi giunto alla fine delle terre, vorrei poter evocare le anime delle persone care  che la tradizione vuole vagare inquiete di là dell'Oceano. Come vorrei riabbracciare mia madre, chiedere scusa per tutte le volte che l’ho contraddetta col disprezzo ignorante della giovinezza. Lei rispondeva sempre con un pacato mantra: ci vedremo, ci vedremo, ci vedremo!
         L'’abbraccerei  in silenzio, senza tante parole.  Come Ulisse tre volte cercherei di stringerla fra le braccia, e tre volte abbraccerei un ombra fatta d’aria. Resterà il  rimpianto a rodere la punta del cuore. Sarà come al solito troppo tardi.              

Davanti a me ancora un sentiero diritto di terra rossa, avvolto dall’ombra di querce secolari. Sfocia su un vertiginoso abisso di stelle. Una sottile inquietudine consuma le forze rendendo il passo affaticato, il respiro pesante. 
Mi sveglio. Come emergere dal profondo di un mare primordiale a cercare con affanno l’aria. Allungo la mano e sento il calore della mia compagna che respira al mio fianco. Mi pervade una profonda dolcezza, una serenità mi culla fino a che scivolo in un sonno tranquillo.
                 Lascia che il Cammino ti parli e tu devi interrogare il Cammino - mi diceva il vecchio Alberto. Tante risposte le custodisco nel cuore, ma tanta la voglia di interrogare ancora il Cammino.

Nota:
come per il Cammino Francese (vedi "La via delle Stelle" su questo blog) ho voluto riassumere in questo racconto, raccogliendo insieme precedenti scritti, l'esperienza del Cammino Primitivo verso Santiago. A distanza di due anni la rivivo ancora con intatta nostalgia.






sabato 23 settembre 2017

Lagorai Col di S. Giovanni


Veleggiare di nubi tra squarci violenti di sole, neve che copre ultimi lembi di verde tra l’erba bruciata dal gelo, vento gelido che spazza i crinali e oasi di tepore nelle radure, laghi che rinascono dopo l’estate e già si coprono di un velo di ghiaccio. Belli i contrasti d’Autunno in Lagorai.















sabato 16 settembre 2017

Su l'Aut (Marmolada)



           


            Solo dopo aver superato il ripido gradino glaciale si  entra nel pascolo sospeso della Val di Grèpa. Le mucche e i cavalli cercano ancora l’ultima erba tra la neve appena caduta. Ogni tanto alzano la testa, fremono vapore con le froge e annusano l'autunno nell'aria. Forse sentono la nostalgia del caldo della stalla giù in valle. Scenderanno venerdì, ci ha detto il pastore, prima di una nuova ondata di maltempo.
            Penso a questi animali indifesi lasciati tutta l'estate all'aperto giorno e notte senza il ricovero di una stalla. Da poco una coppia di lupi si è spinta fin su queste dorsali, in costante espansione fin  dai lontani Appennini. Pare che la natura si stia riprendendo poco a poco i suoi territori. Il lupo per sopravvivere ha imparato a essere schivo e furtivo, eppure scaltro e feroce predatore.  Per nutrirsi ha appreso da sempre a sbranare le indifese e goffe creature che l'uomo alleva per nutrirsi. Per lui sono prede fin troppo facili se la notte non vengono ricoverate negli stalli.  Ai pastori non sarà più consentito lasciare intere greggi vagare, padrone assolute del territorio, spingersi fin sulle cime a pascolare le fragili zolle fiorite.
***
               Raggiunto lo spartiacque  al passo delle Sièle, saliamo su neve fresca senza tracce sulla cima del Su l’Aut, a cavallo tra Val Giumèla e Val di Grèpa. Creste morbide e docili ma dalle splendide visioni. Caliamo sul versante ovest e scendiamo a Ciamòl.
               Della neve di settembre sul pascolo è rimasta una poltiglia fangosa che nella notte ghiaccerà. Spero che il bestiame che muggisce sparpagliato nella valle possa godere tranquillo di questi ultimi giorni di spazi aperti.  Un ultimo sguardo alla val di Grèpa, forse l’ultima valle che i ladini di Fassa hanno lasciato ancora intatta.
Superato il gradino glaciale si entra nella val di Grèpa




La pianeggiante val di Grèpa. La cima del Su l'Aut è la puntina rocciosa verso destra.




Il passo delle Sièle




Sulla cresta verso il Su Aut




In basso la val di Grèpa


Verso la cima


Il castello del Pordoi

In Cima



In discesa verso Ciamòl