E’ stato nel bosco ricco delle nuove linfe della
primavera che ho sentito per la prima volta quel suono misterioso. “Botbot…botbotbot…”
Un suono metallico che mi ha fatto fermare ad ascoltare sorpreso. “Botbot… botbotbot.”
Nel silenzio del bosco che un cielo gravido di pioggia rendeva verde bottiglia,
si ripeteva ad intervalli regolari, quasi inquietante.
Da
poco avevo visto il film "Predator" con Arnold Schwarzenegger e la suggestione di quel
suono mi ha fatto immaginare che l’alieno del film, si materializzasse arborescente,
dalle ramificazioni rivestite del nuovo verde dei faggi. Immobile, col fiato
corto, appoggiato alle rughe di un vecchio faggio, dopo una lunga pausa l’ho risentito
inaspettato, molto vicino, alle spalle. Cautamente
ho sporto la testa dal tronco e finalmente ho visto l’alieno nella breve radura. Quale sorpesa
e profonda emozione. Un magico uccello dai
colori sgargianti, con un pennacchio guerriero sulla testa becchettava sul
terreno: “botbot… botbotbot… “
Solo dopo esser tornato a casa mio padre sentenziò:” ma l’
era el Botbot”. E cosè il Botbot? L’upupa. Ah! L’upupa. Mai avevo visto l'upupa da vicino.
Mi
sono venuti a mente i versi dai Sepolcri di Ugo Foscolo, poeta che nell’adolescenza mi piaceva recitare dando sfoggio delle mie frequentazioni poetiche:
“e uscir del
teschio ove fuggìa la luna
l’upupa, e svolazzar
su per le croci
sparse per la
funerea campagna”
Quando
la declamavo immaginavo quest’immondo uccello notturno che si cibava di cadaveri.
Anche il suono di quelle “u” ripetute nel nome, riproduceva l’onomatopea paurosa
di un rapace notturno. Ora invece avevo vivida nella mente l'immagine di quell'
incontro inaspettato, che mi aveva emozionato. Avevo visto un uccello immaginifico vestito
del colore del sole, con un pennacchio da re guerriero.
Come
sono ingannevoli a volte i poeti.