martedì 24 marzo 2015

Scarborough Fair



            Chi non ricorda quella fase dell’adolescenza o della prima giovinezza, quando si ha la presunzione di scrivere poesie o di comporre musica. Spesso sono fuochi fatui. Si sa  che pochi sono i poeti che scriveranno versi immortali e ancor meno i musicisti. Qualcosa mi è rimasto di quel periodo di ansia creativa. Qualche pagina, alcune lasciate come allora, altre elaborate dal maturare degli anni

            Avevo in casa un vecchio harmonium. Oggi apprezzerei molto più il respiro di quel suono vivo, vibrante, ma allora desideravo una tastiera elettronica. Fondare un gruppo rock con l’amico Eugenio che aveva una voce molto bella e suonava la chitarra.

             Quel giorno mi sentivo particolarmente ispirato. Spingendo i pedali per dare aria al mantice toccavo i tasti gialli scrostati con aria assorta. Lo strumento mandava un fiato che sapeva di  noci seccate in soffitta. Provavo degli accordi di quinta , lasciando l’armonia sospesa tra  modo minore  e modo maggiore, per dare alla musica un alone di mistero e un senso di incompiutezza. Su quella trama di accordi mi nasceva un canto  spontaneo, senza forzature, come una polla d’acqua che sgorga dalla terra. Sulla melodia poi avevo scritto un testo d’amore ricco di sfumature come la tela di un impressionista .

            Dell’adolescenza rimpiango quel essere sempre innamorati, quando bastava uno sguardo per naufragare in due occhi pieni di promesse. In quel periodo poi mi struggevo d’amore per una ragazza conosciuta da poco. Mi immaginavo menestrello sotto le sue finestre mentre Lei  ascoltava nella stanza  aperta sulla notte lunare. La immaginavo in abiti trasparenti, dietro le tende della finestra ascoltare rapita, quel canto nuovo che avevo scritto per lei. Ero in un limbo di appagamento creativo.

            Nel tardo pomeriggio, svogliato davanti ad un libro di scuola  l’appuntamento imperdibile  con la trasmissione “Per voi giovani”. Per fortuna  c’è stato Renzo Arbore a far conoscere la musica a chi possedeva solo una vecchia radio valvolare. Era quello l’unico contatto con la musica d’oltre manica e d’oltre oceano. In quegli anni un brano musicale non si consumava in tre giorni, ma per merito degli ascolti rarefatti aveva una vita più lunga. Riascoltarlo alla radio  era come un appuntamento d’amore. Si sviluppava così la capacità di memorizzarlo in fretta e la prontezza nel suonarlo.

            “Ora una canzone  di Simon e Garfunkel” - annunciava la  erre arrotata di Arbore. Alzando gli occhi dal libro ascoltai con crescente stupore quella musica suggestiva. Quegli accordi, quella cadenza mi pareva di conoscerli da sempre.  Assomigliavano fin troppo alla musica che avevo presunto di comporre  poche ore prima con tanta ispirazione.  Mi resi conto con un tonfo di delusione che avevo scritto la musica già scritta di Scarborough Fair.