"Ma chi è tuo padre"? Al vecchietto
del paese che mi aveva perso di vista durante la crescita rispondevo “ El Cèncio
Molinar”. Per l’usanza dei paese di accorciare e storpiare i nomi mio
padre Vincenzo era detto Cèncio. Un
po’ me ne vergognavo di quel nome. “Ah!” – riprendeva per collocarmi in un
quadro familiare preciso- “Allora tua madre
l’è la Mariòta dei Andreòti da Palù”. Anche Mariòta non mi piaceva. Era ben più dolce Maria il nome della Madonna! Ma così era nel
paese. Mia mamma Maria era la Mariòta, ed
io ero figlio del Cencio Molinàr e
della Mariòta.
La
sorella di mia madre di nome era Cecilia ma in famiglia era la zia Cila. Pure lei come mia madre aveva il nome
storpiato e anche lei aveva sposato uno di Mosana di nome Vincenzo, ovviamente
detto Cencio. Mia nonna Carmela era donna
saggia e arguta e con due Cenci per
generi soleva dire: “le mé fiòle le à binà 'nsèma tute le sdràce del Comùn” .
I Andreoti era antica famiglia di Palù, soprannominata
così perché da diverse generazioni battezzava il primogenito maschio col nome
dell’apostolo, terzo per importanza dopo Pietro e Paolo. Anch’io sono stato
battezzato Andrea, pur essendo figlio di una femmina della discendenza Andreòta e sono stato l’ultimo dopo generazioni a
portare quel nome. Non mi hanno mai soprannominato
Dèia,
come già chiamavano mio nonno Andrea. Quelle abbreviazioni arcaiche con la mia generazione
andavano scomparendo.
Il
trenta novembre, Sant’Andrea, era grande festa per la famiglia dei Andreòti. La campagna riposava sotto la neve, il vino nella cantina era giovane. In quegli anni i granai erano
pieni e la rata della vendemmia
appena riscossa.
Tradizione
popolare considerava Sant’Andrea il giorno dell’inizio dell’inverno. Sant’Andrea co’ la so famèa, diceva il proverbio.
Non so se famèa significasse fama o una vecchia forma dialettale che sta
per famiglia. La famiglia che sant’Andrea portava con se era la fame e il
freddo. C’era poi una terza “f” e sottindendeva la televisione di quel tempo. In quelle
lunghe notti d’inverno a letto con le galline e dovere coniugale.
Ero
orgoglioso del nome che mi era stato dato anche perché poco in uso in quegli
anni. Della notte di Sant’Andrea conservo un felice ricordo. Rimanevo sveglio fino
a tardi, ascoltavo le chiacchiere degli adulti attorno al focolare con castagne
e vino caldo. Era già dicembre e presto sarebbe arrivata santa Lùzia con l’asino e la
gerla carica di doni. Ci si accontentava di poco. Gesù bambino portava i doni
solo ai bambini ricchi.
Sant'Andrea 1952: Nonno Dèia ed io già pensieroso |