L’ultima volta passavo di qua quando un
tenero verde rivestiva il prato, e i faggi, ancora grigi e nudi, ascoltavano la brezza di primavera. Vicino alle acque
del Rì Sèc che gorgogliava irruente, fiorivano i bucaneve.
La
primavera o l’estate il bosco è denso di brusii, di sussurri, di suoni di vita misteriosa. L’autunno il vento trae voci e lamenti dal crepitare delle foglie secche,
comunica la melanconia dei richiami degli stormi dei migratori che stanno per partire.
Ma l’inverno è muto, quasi rinchiuso di là della soglia del suono. L’aria gelida
pare frantumarsi in cristalli che cadono senza rumore.
Oggi
i prati di Baita Gelàsi sono immersi in quel mutismo ostinato e indifferente che
avvolge l’inverno. Una spessa coltre di neve, le tracce fresche di cervi e
caprioli che vagano di oasi in oasi nei boschi addormentati, le cince dal
ciuffo che becchettano e pigolano tra i pini rossi, sottovoce per non
disturbare il sonno degli alberi.
D’inverno
questo luogo si fa segreto, protetto dalle pendici boscose. Conserva intatta
la serenità dell’antica malga abbandonata
al riposo dell’inverno. Come un tempo sembra aspettare maggio e il ritorno delle
voci e dei rumori del bestiame al pascolo.
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